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ALFREDO: paziente adulto che realizza il suo sogno di diventare medico

Mi chiamo Alfredo, sono un ragazzo di 25 anni con la Fibrosi Cistica e questa è la mia storia.

Ho fatto la conoscenza della Fibrosi Cistica (o “mucoviscidosi” come l’aveva conosciuta mia madre) all’età di 3 mesi, presso l’Ospedale di Bari.

All’età di quasi 6 anni ci siamo trasferiti a Milano e ho iniziato ad essere seguito presso la Clinica De Marchi. Ho pochi e sfocati ricordi dell’età prescolare, di certo non legati alla malattia ma alle campane della chiesa di San Benedetto a Barletta, del “Non solo mille Lire”, negozio a cui facevo visita spesso con mio nonno e della sua Ferramenta, in cui mi piaceva giocare con le trappole per topi mentre lui accoglieva i clienti.

Ho passato le scuole dell’obbligo piuttosto in armonia con la malattia, era un qualcosa che non mi ha mai limitato davvero. Forse perché i miei genitori non hanno mai voluto mettermi dei veri limiti, o forse perché mi trovavo in una situazione più gestibile.

Durante le scuole medie si può dire che io abbia fotografato il mio primo ricordo “ospedaliero” (ma non il primo ricovero in assoluto).

Venni ricoverato intorno ai 13 anni per un’infezione polmonare da stafilococco meticillino-resistente, un batterio che richiede un’aggressiva terapia antibiotica. Mi ricordo quasi come fosse ieri il suono delle pompe di infusione che interrompeva il sonno sia mio che di mia madre e la sua mano che mi accarezzava la testa per farmi rimanere in uno stato di dormiveglia mentre le infermiere impostavano la terapia delle 00:00. Dopo una notte insonne potevo svegliarmi con l’odore delle brioche del bar vicino alla clinica, cosa che mi metteva sempre di buon umore: mia madre lo sapeva e ne approfittava per farmi sorridere.

Proseguivo così la mia vita crescendo e venendo a contatto con la responsabilizzazione verso la mia malattia. Sempre di più mi occupavo di me stesso, dalle pastiglie alla fisioterapia respiratoria, alle visite in ambulatorio, alla richiesta dei farmaci al centro etc. Non era un processo voluto ma un processo dovuto, che faceva parte della mia crescita. La vita mi imponeva di prendermi cura di me e questo lo vedevo soprattutto attraverso le prime uscite con gli amici. Cominciavano le conoscenze adolescenziali sia maschili che femminili, quelle che ti cambiano e ti condizionano la vita…e l’evoluzione della malattia andava di pari passo. Mi sembrava di camminare su due binari, uno era il binario degli amici, delle prime conversazioni con le ragazze, delle prime compagnie, delle prime serate, delle prime volte con il fumo, con l’alcool, con le moto, le auto, la delinquenza etc.

L’altro era il binario di casa, della quotidianità, della malattia, delle pastiglie, della tosse, delle visite, degli antibiotici, dell’attività fisica di cui all’epoca non ero un gran fautore. Non mi sono mai sentito in difetto rispetto agli altri, assumevo un atteggiamento quasi passivo nei confronti dei miei obblighi, erano cose che dovevo fare…ma il primo pensiero non era certo porre attenzione alla fisioterapia respiratoria.

Crescendo si è fatta sentire la necessità di correre su entrambi i binari alla stessa velocità, proprio in virtù del fatto che le prime esperienze di vita ti impongono anche di guardare a te stesso, a chi sei e a quello che vuoi e, inevitabilmente, a cosa hai di diverso rispetto agli altri, elemento che ha raggiunto il culmine con le prime esperienze amorose in cui inevitabilmente capitano situazioni anche imbarazzanti, difficili da gestire per un adolescente. Come si dice…tutto fa scuola.

Ho concluso le superiori in serenità, ne porto un buon ricordo con un bilancio sulle mie limitazioni decisamente positivo.

Ho scelto di fare medicina seguendo ciò di cui mi piaceva davvero parlare, ciò che mi sarebbe piaciuto fare, incurante sia della malattia sia dei pareri altrui. In un certo senso decisi di scegliere il sogno alla realtà, cosa che anche ora che ho portato a termine questo percorso non rimpiango neppure in una sua piccola parte.

Nonostante questo lato positivo, ho dovuto riconoscere una certa unione dei binari citati poc’anzi.

Con il tempo ho preso conoscenza del fatto che la presenza di due binari non era altro che una tenue illusione giovanile, un modo per convincere il me adolescente e insicuro del fatto che non avessi niente di diverso dagli altri. Questa fase è ormai passata. Con il giusto percorso educativo i binari si sono uniti, si è in me formata la consapevolezza del fatto che la malattia e la mia persona fossero la stessa cosa, che non potevo sfuggire a me stesso, questo non in senso negativo ma costruttivo: porre al centro prima se stessi per essere pronti ad affrontare le parti fuori di noi.

Ho iniziato l’università e dopo pochi mesi si è presentato il diabete, un elemento che ha decisamente condizionato la mia vita, un fattore che ancora oggi porto dietro come un’ importante limitazione, il quale richiede una gestione oculata e costante.  Non posso banalmente prendere e andare a fare una corsa per i campi senza prepararmi 3-4 ore prima con la glicemia, non posso permettermi di andare in giro senza delle caramelle zuccherate, non posso non dare un costante occhio alla quantità di insulina rimasta nel microinfusore e, soprattutto, per me i pasti ormai sono un continuo conteggio sia di grassi che di carboidrati, conteggi che devono essere precisi onde evitare di essere assonnati e fuori uso per una iperglicemia post prandiale (che ci danneggia in molti altri modi).

A metà percorso di studi sono stato sottoposto a trapianto di fegato, un percorso molto complesso ma necessario, che mi ha permesso di rialzarmi dopo un periodo in cui sentivo molto meno le mie energie: la mia produttività era calata e allo stesso modo anche la voglia di occuparmi dei miei interessi.  La malattia ha colpito duramente il fegato, che ha avuto la bontà di resistere fino all’inizio dell’età adulta, momento in cui ha dato segni di cedimento importanti, portandomi così ad essere messo in lista trapianto.

Il diabete e il trapianto hanno cambiato la gestione della mia vita, mi hanno in qualche modo fatto crescere: la consapevolezza del singolo binario si è concretizzata con questi due eventi. Questa concretizzazione mi ha portato a conoscermi meglio, a definire dei limiti, a sfruttare meglio il mio tempo, mi ha portato a ridefinire delle priorità mettendo di nuovo al centro la salute che prima era sempre stata al pari di qualcos’altro, adesso invece configurava da sola in cima alla lista.

Non mi sento la malattia (non sempre almeno), ma certamente quest’ultima si è fatta sentire negli ultimi anni e ha plasmato anche nuove aspirazioni lavorative, mi ha portato, non senza dolore, a dire no ad alcune cose, per esempio alla specializzazione che avrei voluto scegliere alla fine del percorso di medicina, obbligandomi a scegliere qualcosa di più gestibile.

Mi ha costretto a crescere e a costruirmi un nuovo livello di obiettivi di vita, compatibili con le mie esigenze e che possano rendermi non solo felice, ma in grado anche di crescere ed apprendere sempre più sul mondo.

Non nego che ogni tanto ci siano le crisi, ci sia la speranza di migliorare la propria condizione per alzare il livello dei propri sogni ed è una speranza che fondamentalmente non si spegnerà mai, che mi permette di andare avanti e battermi per rimanere in buone condizioni fisiche, condizione che ho ormai appurato essere il risultato di una importante alleanza terapeutica, dal paziente al medico al fisioterapista a chiunque ruoti attorno a questo mondo, compresa la Lega Italiana Fibrosi Cistica Lombardia. Tutti gli attori hanno una parte nella costruzione del mio benessere, l’hanno avuta e sempre l’avranno e se tutti lavorano insieme possono davvero migliorare la qualità della vita di noi pazienti.

Crescere e mantenermi in salute non sarebbe stato possibile senza questo tipo di alleanza terapeutica che è stata supportata e rafforzata da LIFC Lombardia negli anni con finanziamenti sia di figure professionali sia di macchinari, ma anche con contributi per permettere aggiornamenti scientifici; ed è proprio qui che i volontari e i donatori diventano parte integrante del processo di cura. Senza le donazioni tutto questo non sarebbe stato possibile: i fondi in campo sanitario sono sempre difficili da distribuire e spesso ce ne vogliono più di quanto si pensi. Senza l’aiuto delle donazioni non potremmo supportare il percorso di cura dei pazienti come invece è successo negli ultimi anni e questo è anche grazie a voi.

𝗗𝗼𝗻𝗮 𝗼𝗿𝗮 𝗶𝗹 𝘁𝘂𝗼 𝟱𝘅𝟭𝟬𝟬𝟬 𝗮𝗹 𝟵𝟳𝟮𝟭𝟴𝟴𝟲𝟬𝟭𝟱𝟵.